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L’agricoltura che ci piace

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Quello che segue è il testo dell’approfondimento programmatico sull’agricoltura di Fare per Fermare il Declino, al quale abbiamo dato un contributo significativo, pubblicato ieri sul sito del movimento guidato da Oscar Giannino. Più che come un documento definitivo, il testo va inteso come una bozza per la crescita del settore agricolo italiano e l’inizio, speriamo, di un percorso di elaborazione programmatica che rimetta l’impresa agricola al centro di una scena finora occupata solo dai sussidi pubblici e dall’intermediazione politica e corporativa, oltre che da lughi comuni assai duri a morire.

Come abbiamo sempre detto, fin dalla presentazione di questo blog, “l’agricoltura che ci piace è un’agricoltura libera. Libera prima di tutto dai luoghi comuni che, nell’indifferenza generale e con l’accondiscendenza dei mezzi di informazione, orientano le politiche di spesa e di intervento pubblico, libera dai sussidi, libera di svilupparsi attraverso l’innovazione e il mercato. E libera di parlare di sé senza piangersi addosso“. E’ la stessa agricoltura che piace a Fare per Fermare il Declino.

  • La superficie media dell’impresa agricola italiana è di 7,9 ettari a fronte dei  53 di quella francese, i 56 di quella tedesca, i 65 di quella danese, i 79 di quella del Regno Unito e i 152 di quella Ceca. E’ la fotografia di un sistema produttivo che sconta inefficienze decennali, frutto prima di tutto di una eccessiva frammentazione fondiaria e di un utilizzo delle risorse della Politica Agricola Comune finalizzato prevalentemente a sostenere lo status quo piuttosto che a superare le cause profonde di queste inefficienze.
  • E’ necessario rimuovere tutti gli ostacoli, prevalentemente di natura burocratica, che ostacolano l’accorpamento fondiario, e riformulare il sistema di erogazione degli aiuti diretti della PAC secondo criteri che incentivino la piccola impresa a cercare forme innovative di aggregazione dell’offerta fin dalle fasi di produzione. Va ripristinata la norma, abrogata dal Governo Monti, che consentiva anche alle società di capitali di poter optare per la tassazione su base catastale.
  • Il sostegno al reddito dovrebbe essere ripensato come una forma di welfare a termine, teso ad accompagnare l’impresa improduttiva senza traumi fuori dal mercato, piuttosto che un sistema di erogazione ed intermediazione di microrendite, e un modo per sostenere in eterno attività produttive inefficienti e decotte.
  • La tassazione patrimoniale sui terreni e fabbricati rurali deve essere oggetto di una profonda riforma, che includa in un’unica voce anche i contributi generali di bonifica, e che consideri la vocazione strumentale dei fabbricati rurali. Gli aumenti sconsiderati dell’IMU agricola vanno rivisti, così come vanno superati gli astrusi regimi di deroghe ed esenzioni su base territoriale. I consorzi di bonifica vanno sottoposti a una severa valutazione delle performances, che preveda la possibilità di soppressione di quegli enti che non rispettino elementari rapporti tra costi per i contribuenti e benefici per la collettività.
  • I criteri attraverso i quali vengono erogati gli aiuti allo sviluppo, attraverso i Piani di Sviluppo Rurale redatti dalle regioni, devono essere fondati su una rigorosa analisi scientifica che riconosca il contributo positivo dell’innovazione tecnologica e dell’intensificazione agricola per la biodiversità e la salvaguardia ambientale. Oggi una grossa fetta di questi aiuti vengono elargiti a realtà associative, consortili, sindacali, politiche, nonché agli stessi enti locali, che non hanno nulla a che fare con l’agricoltura. Un modo attraverso il quale la politica, mediante la PAC, contribuisce a finanziare sé stessa e uno spreco di risorse al quale va posto rimedio al più presto.
  • Non si può continuare a negare, alle imprese agricole italiane, il diritto di avvalersi delle tecnologie che migliorano le rese unitarie o garantiscono rese analoghe con minori imputs produttivi. Il bando all’uso delle varietà geneticamente modificate iscritte al catalogo comune europeo, per le quali nessuna evidenza scientifica ha mai dimostrato pericoli per la salute umana e per l’ambiente, deve essere rimosso. Allo stesso tempo va rimosso l’anacronistico bando alla ricerca in campo aperto sulle biotecnologie agrarie, che potrebbe rappresentare un fondamentale strumento per il recupero e la difesa di importanti varietà tradizionali italiane.
  • Anche le norme che impongono agli agricoltori limiti all’utilizzo di semente autoprodotta sono in contraddizione con i più elementari principi di libertà di impresa, e vanno superate.
  • I consorzi che tutelano le Denominazioni di Origine hanno lo scopo di garantire al consumatore che un determinato prodotto provenga da un determinato luogo e sia stato fatto secondo un determinato disciplinare di produzione. Qualsiasi altra funzione, pur riconosciuta dalla legge, di controllo dell’offerta e di stabilizzazione del mercato rappresenta una violazione dei principi della libera concorrenza, oltre a un disincentivo agli investimenti proprio nei settori a più alto valore aggiunto. La fine del sistema di contingentazione delle superfici viticole e la liberalizzazione dei diritti di reimpianto dei vigneti, prevista per il 2015, va vista come un’opportunità di sviluppo e di rilancio per il settore vinicolo italiano.
  • Una riforma strutturale delle norme che regolano l’attività venatoria, in un senso più rispettoso dei diritti di proprietà, potrebbe condurre a nuove opportunità di reddito per l’impresa agricola, a una maggiore salvaguardia della fauna selvatica e a consistenti risparmi per lo Stato e gli Enti Locali.
  • L’art. 62 del decreto liberalizzazioni, che impone una contrattualizzazione forzata di tutte le transazioni commerciali che abbiano come oggetto prodotti agroalimentari, costituisce un’intollerabile intromissione dell’autorità pubblica nei rapporti tra soggetti privati. Se l’intenzione dichiarata del decreto, che impone un termine massimo di 30 giorni per il pagamento di prodotti deperibili e 60 per tutti gli altri, sarebbe quella di riequilibrare il peso del piccolo produttore di fronte alla GDO, si può dire che l’obbiettivo viene mancato clamorosamente. In primo luogo perché quello che non si riflette sui tempi di pagamento si rifletterà inevitabilmente sul prezzo o sulla scelta di diversi fornitori, specialmente esteri. In secondo luogo perché i primi a fare le spese di questo sistema sono proprio gli agricoltori, che non possono più liberamente scegliere di pagare “a raccolto” i loro fornitori, finendo costretti a dover ricorrere al credito (in un periodo di feroce stretta creditizia) per finanziare gli acquisti.
  • Numerose evidenze supportate dalle risultanze di indagini investigative hanno portato alla luce tali e tante incongruenze nella gestione delle anagrafi bovine e dell’intero sistema di gestione delle quote latte e delle erogazioni in agricoltura, da suggerire la possibilità, tutt’altro che remota, che l’Italia non abbia mai sforato la quota nazionale ad essa assegnata, e che di conseguenza i prelievi sugli allevatori siano di fatto illegittimi. Qualsiasi decisione in merito alla riscossione dei tributi agli allevatori deve essere subordinata alla piena chiarezza su queste vicende.


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